Il prezzo della gloria (Racconto)

Steven era lì, sul divano. Fissava al buio la tv, ipnotizzato da pensieri imperscrutabili, sfiorando morbosamente quella nuova estensione di sé da cui non osava più separarsi.
Massaggiava la medaglia, quasi ad assicurarsi che fosse reale. La toccava per non cedere ai dubbi, per convincersi che fosse veramente a penzoloni sul suo petto sgonfio e non su quello di un altro.
Guardava la televisione senza interesse, Steven, a volume talmente basso da risultare di difficile ascolto. Spesso interrompeva i programmi per rivedersi quelle scene registrate già viste, già conosciute, già macinate da una mente che iniziava a perdere colpi.
Iniziava a odiarle. A odiarsi.
Il chiarore delle trasmissioni catodiche illuminava a tratti ciò che albergava sul tavolino: una calibro 38 e una bottiglia di Scotch semi vuota. Il bicchiere era in un angolo lontano, sotto forma di minuscoli frantumi vetrosi, vittima inerme dell’ultimo attacco di ira.
Il suo volto inebetito dall’alcol rifletteva bagliori azzurrastri, contraendosi nell’ennesima smorfia declinata a un riso amaro e isterico.
Mai stato un vincente Steven, mai stato nemmeno vicino ad essere un vincente. Eppure qualcuno gli aveva teso la mano. Gli aveva promesso gloria e fama. Il doping, per una volta, non c’entrava.
E così aveva accettato un patto del quale aveva capito poco o nulla. L’aveva accettato perché non ci credeva. L’aveva accettato perché suonava talmente strambo da risultare uno scherzo. L’aveva accettato, punto, ed ora si trovava nascosto nel crepuscolo della sua solitudine a pentirsene.
Alle Olimpiadi era arrivato per caso. Riserva della sua squadra, aveva preso il posto di un titolare per uno strano infortunio di quest’ultimo.
La sera stessa il gatto Jacob ci aveva lasciato i peli per un frontale fuori programma con il furgone del lattaio. Rischi di essere quadrupede distratto in una cittadina dove il traffico sta diventando un problema, aveva pensato Steven.
Ai quarti, l’incredibile si era fatto possibile. Il suo terzo posto era suonato come l’ennesima sentenza per una carriera mai decollata, ma la squalifica di un concorrente l’aveva rimesso inaspettatamente in gara.
La telefonata durò giusto il tempo di comunicargli che al suo ritorno non avrebbe trovato una moglie ad attenderlo.
Comprensibilmente deconcentrato, demotivato e turbato, arrivò alle semifinali. Si trovò qualificato per l’inimmaginabile caduta di tre avversari. Felice per un momento, dimenticò la consorte fuggita, ma un’altra notizia lo riportò brutalmente alla realtà: suo fratello, obiettore di coscienza convinto, si era appena arruolato nella Legione Straniera. La finale non fu meno ricca di sorprese e, dopo una performance indegna, lo vide vincitore, spuntandola in mezzo a fenomeni da pista ghiacciata per l’assurda caduta di tutti i rivali. Aveva alzato le braccia al cielo, Steven, dimenticando il resto, quasi a voler legittimare un merito che non gli apparteneva.
Ora, dopo la perdita del figlio, alzava solo una bottiglia, chiedendosi se ne era valsa veramente la pena.

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